sabato 31 gennaio 2015

Radio Senza Frequenza - LABIRINTI - Quadri sonori


Si era nel tempo in cui, da parte mia e di un paio di fraterni colleghi, si cercava di materializzare le più stravaganti e fantasiose trovate registiche per adescare il pubblico radiofonico e portarlo ad esperienze di ascolto che potessero coinvolgerlo principalmente a livello animico e spirituale.

So che, detto così, appare un intento programmatico molto ambizioso, soprattutto oggi.  Ma allora si era nel 1990 e noi tre ci permettevamo il lusso di sentirci ancora come quei Vagabondi del Dharma che raccoglievano ciò che era rimasto dell'onda lunga della rivoluzione culturale del Sessantotto.

Avevamo in mano un strumento, la Radio, sia in senso tecnico e artistico, sia  perché lavoravamo tutti e tre a RadioRai come programmisti-registi. Eravamo Mauro De Cillis, Maria Giuditta Santori e il sottoscritto e avevamo a disposizione il suggestivo studio di registrazione di Mauro, nelle viscere delle fondamenta del Pantheon, in pieno centro di Roma.

Insomma, perché non proporre un programma un po' alternativo alla normale radio che si sente in giro? Un programma che facesse dell'arte e della ricerca spirituale, il tramite simbolico per evocare spazi sonori che potessero effettivamente riverberare nell'interiorità degli ascoltatori.

Un programma che desse spazio ad una fenomenologia vibrazionale dell'ascolto in grado di stimolare un'esperienza fisica, proiettata in spazi di significanti poetici interconnessi in un universo di senso. Usando le parole, scritte, lette, cantate, recitate, mozzate e fraintese, associate in un elegante pastiche sonora che desse l'evocazione musicale dell'universo mondo con cui stimolare e diffondere Anima.




Eravamo tutti e tre ben stimati all'interno della struttura di Radio Rai, che si muoveva tra la produzione di via Asiago e l'amministrazione di Viale Mazzini, il famoso palazzo di vetro col cavallo morente in bronzo di Francesco Messina nell'isolato adicente.  La statua è il simbolo delle antiche comunicazioni umane che soccombono di fronte alle nuove tecnologie. Prospettiva quanto mai opportuna per poter sperare che qualcosa venisse accettato delle nostre spericolate sperimentazioni radiofoniche.

Fu così che cominciammo a trascorrere lunghe serate nello studio del Pantheon a scrivere, provare e registrare; soprattutto per trovare una formula che rivelasse un format adeguato e percorribile. Così nacque:
"Radio Senza Frequenza:
la radio che non trasmette da nessuno studio.
Il nostro studio è stata la mente, la vostra".

All'interno dello spazio di cotale radio c'era il programma "Labirinti", una sorta di contenitore di altri mini-programmi, ognuno con un suo filo logico originale ed autonomo. Come le carte dei tarocchi, i grappoli di programmi si succedevano l'uno all'altro, creando una sorta di estraniante gioco di specchi, in un avventura storico-culturale che attraversava stimolazioni emotivo-artistico-musicali ruotanti intorno ad un nucleo forte di non detto, ma suggerito da mille suggestivi dettagli formali.

Realizzammo due puntate del programma, di 45 minuti l'una. La prima fu un vero capolavoro! Secondo il giudizio di noi tre, naturalmente. Oltre a quei pochi intimi che poterono ascoltarla in cuffia con la dovuta attenzione, come in una sorta di meditazione. Lo facemmo ascoltare anche a un paio di dirigenti, oltre all'immancabile Signora Motta, dirigente della rete, di cui ho già parlato qui.

Ebbene, non ce lo fecero fare.

Troppo avveniristico, ci dissero.

Ed era vero! Tanto che fu un bene aver realizzato solo la puntata pilota come un unicum artistico in sé, piuttosto che vederlo spalmato su decine e decine di puntate, che era stato originariamente lo scopo della nostra proposta.

C'è da dire comunque che da quell'esperienza, in cui certamente rasentammo in molti momenti di lavoro il sacro e paradisiaco sentimento dell'assistere al miracolo della creatività in opera, arrivarono altre esperienze legate a questo prodotto, ma che si svilupparono in diverse direzioni. E poi col tempo in effetti ognuno di noi tre prese la propria strada professionale e personale.

Il brano che ho inserito ora su YouTube, accessibile anche qui, è l'ultimo dei tre mini-programmi che componevano il programma "Labirinti", all'interno del palinsesto di Radio Senza Frequenza. Il mini-programma si chiamava "Quadri sonori", ed esprimeva il tentativo di associare un audio a famosi quadri della storia artistica di tutti i tempi, dal Rinascimento, con Botticelli e la sua Venere, all'Urlo espressionistico di Munch, all'arte commercializzata di Andy Warol e la sua Marylin.

Proprio Mauro De Cillis, recentemente mi accennava all'esistenza di un gruppo musicale che ha realizzato lo scorso anno lo stesso concetto proposto da noi, quello di trasformare i quadri in musica. Bene! Che siano arrivati i tempi giusti!

mercoledì 21 gennaio 2015

Enrico Giardino e il Diritto a Comunicare


Ho conosciuto Enrico Giardino in Rai, nei primi anni Novanta. La sua intelligenza critica, la conoscenza approfondita del sistema globale della Comunicazione, a tutti i livelli, guidate da una rara sensibilità politica tesa alla libertà e la giustizia sociale, mi hanno subito conquistato. Nell'arco di pochi hanno di reciproca collaborazione, era diventato il mio maestro di politica, sebbene la sua impostazione provenisse dagli studi di ingegneria e dalla attività di sindacalista con larghe competenze nel marxismo scientifico, che non ho mai amato, vista la mia formazione filosofico-spiritualista-sciamanica. Grazie comunque ad un retroterra comune, basato sul grande rispetto della laicità che dovrebbe imperniare ogni discorso politico, il nostro rapporto è stato sempre scevro da incomprensioni.

La sua teoria del Sistema Integrato della Comunicazione, costruito sull'assetto costituzionale dello Stato e su quel concetto del Diritto a Comunicare, sancito dall'Unesco nel 1984 e disatteso per ora da tutte le democrazie del mondo (lasciamo stare i regimi totalitari, dove anche la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo non viene accettato nemmeno sul piano formale) ci ha consentito di avere, se non altro, la capacità di leggere la realtà sociale, politica e mediatica in maniera scientificamente fondata e predirne puntualmente l'evoluzione già in epoca pre-globalizzatrice.

Fin dagli anni '90 Enrico e il sottoscritto ci siamo impegnati nel divulgare alla popolazione attraverso documentari audio e video la ferale notizia della brutta piega che avevano preso le cose. La deriva velocissima verso la dittatura, rispecchiabile perfettamente per esempio nell'andamento della gestione dei messaggi comunicativi  durante la propaganda di guerra del Kossovo.  Si era nel pieno della rivoluzione digitale e della ricerca di fonti ulteriori di promozione pubblicitaria tra le compagnie telefoniche che si erano scatenate ad accaparrarsi il maggior numero di fette di mercato.

Non sto qui ora a descrivere i parametri del Sistema Integrato della Comunicazione che Enrico Giardino ha concepito e che sono disponibii a tutti sul sito del Forum Interassociativo Dac. Essi sono in grado non solo di fotografare oggettivamente una situazione locale e globale con tutti i soggetti e i mezzi coinvolti nella comunicazione, attiva e passiva, tecnologica come interpersonale, ma anche di definire e proporre una riforma istituzionale che consideri la Comunicazione come potere formalizzato, all'interno del sistema dei tre poteri dello Stato, Esecutivo, Legislativo e Giudiziario.
Uno stato democratico costituzionale non può prescindere da regole e controlli del sistema della Comunicazione, in modo che si armonizzi con le risorse disponibili, in funzione della difesa del cittadino e degli spazi comunitari. 

Chi si occupa di documentari non può prescindere dall'aspetto politico che caratterizza l'ambiente culturale in cui si muove questo genere del tutto peculiare di informazione. Prima di tutto sul piano economico - produttivo, visto che non esistono strutture di distribuzione e televisioni che comprano i documentari, specialmente d'autore, e poi sul piano più politico, culturale e artistico. Ho sempre cercato di affiancare il mio lavoro personale ad un entusiasta e generosa attività di volontariato per aiutare le battaglie di Enrico, ma in effetti, queste lotte, come gli piaceva chiamarle, non hanno raccolto naturalmente alcun accoglienza presso i poteri piduistici che si andavano formando e consolidando in quegli anni e in tutti gli anni 2000.

Pochi mesi prima della prematura e improvvisa scomparsa di Enrico, avvenuta nell'ottobre del 2013, riuscimmo ad incontrarci a casa sua a Roma. Io avevo lasciato da anni la grande città e non ci era più facile frequentarci, ma l'amicizia e l'affetto ci ha sempre uniti, almeno attraverso il telefono. Facemmo così questa intervista retrospettiva sulle attività di una vita, quella che Enrico aveva passato in Rai, attraversando un po' tutte le fasi di trasformazione che l'Italia ha subito dagli anni '70 fino ad oggi.

L'intervista integrale sarà presto disponibile, anche in veste editoriale per i tipi della Contanima di Maurizio Andreanò. Qui ne presento un breve trailer, pubblicato sul mio canale YouTube.

venerdì 16 gennaio 2015

Radio Rai Web

http://www.rai.tv/dl/portaleRadio/media/ContentItem-03321c66-90db-47e5-bc21-6ece9f480101.html#

Ho inaugurato da poco in questo blog la pubblicazione di materiali provenienti dalla mia esperienza a RadioRai. Si potrà dire che dal mondo del documentario, oggetto principale di questo sito, al programma radiofonico ce ne corre di differenza. E' vero, ma non così tanta. Se si resta ancorati al dato sensibile è ovvio, la differenza c'è, intanto perché il primo è un audiovisivo e il secondo è solo un audio.

Ma andiamo oltre la superficialità di veduta e scopriamo che prima di tutto sono entrambi prodotti comunicativi con una base tecnologica; entrambi possono arrivare al cuore del fruitore; entrambi possono avere lo stesso concetto di regia, ovvero di filosofia e prassi della messa in scena.

Di fatto la Regia che ho imparato a fare dapprima nello studio radiofonico, si è rivelata poi estremamente efficace anche nel video. Ricorderò sempre la definizione della Radio che mi diede un regista della BBC un giorno del 1993 quando ero a Berlino, durante un concorso di documentari radiofonici. "La Radio - disse -  non è altro che una forma sofisticata di televisione".

Ecco, in questo senso la radio è molto ma molto più raffinata della televisione. Perché? Ma perché nell'ascolto delle sole voci, dei suoni, dei rumori, della musica, può, anzi deve, intervenire l'immaginazione dell'ascoltatore. Si tratta di un quadro visivo che si completa in una forma assolutamente originale, che mai nessun regista potrà mai realizzare. L'ascoltatore è più attivo, in tutti i sensi, sia intimamente che fisicamente. Quando ascoltiamo la radio possiamo muoverci, fare altre cose, piuttosto che dover restare in una immobilità catatonica di fronte allo schermo.

giovedì 15 gennaio 2015

Informazione d'autore


"Informazione d’autore". Sembra una contraddizione di termini. L’informazione parla di fatti. Un autore lavora di fantasia. Siamo sempre stati portati a credere che l’informazione non può intrinsecamente essere d’autore.

Da quando esiste il concetto moderno di informazione, questa è sempre stata concepita come il frutto di una prestazione professionale, cioè di un giornalista, che dovrebbe garantire l’”oggettività” della notizia, questo mito che rispetterebbe certi canoni tecnici sulla qualità dell’informazione.
Sono completamente in disaccordo su questa impostazione, poiché parto da una traccia completamente diversa. Un’informazione può essere data anche attraverso una sua elaborazione artistica.

L’osservanza delle famose cinque W della scuola giornalistica – Who, What, Where, When, Why (Chi, Cosa, Dove, Quando, Perché) – non è sufficiente ad elaborare una cronaca corretta. Piuttosto siamo davanti  ad una metodologia sistematicamente portata avanti per creare una procedura automatica disumanizzata, che nelle sue estreme conseguenze finisce col favorire un potere anonimo incontrollato. Il giornalista infatti sarebbe al di sopra delle debolezze umane. Egli si presenta come il traduttore distaccato di certi criteri oggettivi di lettura della realtà. Non sto parlando dei singoli giornalisti, ma della categoria stessa di Giornalismo.

E’ noto che è stata la tradizione anglosassone, quella che ha voluto codificare in questo modo le basi metodologiche su cui si è costruito l’odierno concetto di informazione giornalistica. L’ha fatto partendo dall’impostazione filosofica dell’empirismo inglese. Credere che un fatto sia un fatto e nient’altro che un fatto, per la semplice ed immediata evidenza che nasce dalla esperienza immediata, fa parte di quell’illusione di oggettività che ha condotto la società moderna alla crisi generale di valori che tutti stiamo subendo in questo momento.

In altre parole, si tratta dell’utopistica pretesa di escludere a priori il soggetto cosciente che osserva il mondo e, grazie al suo presunto distacco, esser capace di descrivere gli eventi col massimo dell’obiettività. Per questo si delega d una procedura tecnica esteriore, le cinque W, per escludere qualsiasi intervento parziale personale.

mercoledì 14 gennaio 2015

Emissione del denaro: strumento del potere



Ho estrapolato questo brano del mio documentario: "A Baby in the Woods: il sogno infranto di Ezra Pound".  Nel brano si parla del meccanismo alla base del potere finanziario, la creazione della moneta. Chi possiede tale facoltà ha in mano la leva principale di gestione del potere.

Da qui il discorso della commistione tra ruolo delle banche centrali e lo stato. Si tratta di un aspetto strategico per il tipo di governance da consegnare alla società. Il primato va dato alla politica sull'economia o viceversa?

Se ne parla spesso a sproposito di questa Europa verticistica e tecnocratica, in cui le banche dettano legge, mentre prima dell'Euro e del vortice globalizzante in cui siamo stati trascinati, le politiche nazionali potevano ancora contare qualcosa a livello di spesa pubblica. Ma questo primato della politica sull'economia che ha caratterizzato tutto il Novecento, era comunque all'interno di quella logica del debito.

Nella storia si è preso in giro i popoli con la nascita delle banche centrali. La prima fu la Banca d'Inghilterra nel 1694, l'ultima fu quella statunitense nel 1913.  L'ambiguità di fondo nel definire i loro rapporti con lo Stato ha reso possibile che alle prime venisse dato il potere esclusivo dell'emissione del denaro. Da allora lo stato deve indebitarsi presso le banche per essere finanziato, invece di finanziarsi da sé. Con grande beneficio delle dinastie bancarie, che mantengono nascostamente il controllo su tutta la società, a dispetto del regime politico, anche se democratico, che si svuota di ogni sostanzialità.

Come è noto Pound si avvicinò al mondo dell'economia grazie al pensiero di due economisti eterodossi: il maggiore Clifford Douglas, con l'istituto del credito sociale, e Silvio Gesell, con la sua moneta a tasso negativo emessa dallo Stato. Due autentici eretici dell'economia moderna, perché azzeravano, ognuno a modo proprio, quella truffa del debito che è alla base dei sistemi moderni.

Con straordinaria pervicacia e infinita ingenuità, Pound cercò di convincere i potenti di allora delle tragiche conseguenze che l'errore della moneta emessa dalle banche comportava. La seconda guerra mondiale prossima ventura ne prospettava un esempio. Chiese di incontrare anche Roosvelt, che naturalmente non lo ricevette mai. Però attirò troppo l'attenzione su di sé. Quando si presentò la buona occasione fu arrestato e condotto senza processo ad un manicomio criminale e vi restò per dodici anni.

Mi chiedo se oggi, grazie all'evidenza sempre più grande espressa dalla crisi economica odierna artificialmente creata in laboratorio; grazie alla conoscenza diffusa via internet su questo aspetto dell'emissione della moneta, possiamo iniziare a credere che la truffa del debito possa venir riconosciuta pubblicamente.

Oppure dobbiamo forse limitarci a sperare che le forze più progressiste, se esistono veramente, ci ripropongano di ritornare alla versione di Keynes, di un'economia controllata dallo stato. Non è il massimo, ma sarebbe già qualcosa.


sabato 3 gennaio 2015

Il sogno di Giordano Bruno


Nel dicembre del 1989 mi capitò di sostituire per alcune settimane Maurizio Ciampa alla conduzione de "Le Ore della Notte", programma contenitore della serata di RadioDue. Lo spazio in particolare si chiamava "Serata a sorpresa".

Ero fresco di laurea e ancora tutto permeato dagli studi di epistemologia, la disciplina che affronta i diversi aspetti della metodologia della ricerca scientifica. Nella mia tesi ero giunto alla conclusione che anche le teorie scientifiche, checché se ne dica, risentono fortemente delle circostanze storico-culturali in cui nascono e si sviluppano. Perciò il potere politico, economico e accademico ricopre molto spesso un ruolo determinante per il loro successo o la loro rimozione forzata.

Il programma radiofonico si occupava di temi piuttosto vari e con un approccio e un approfondimento sempre abbastanza impegnativi, sia per noi che lo preparavamo che per gli ascoltatori che dovevano recepirlo. Niente a che vedere con quel che accade oggi, ché certi argomenti o non vengono affatto toccati o se lo sono, vengono sistematicamente "normalizzati" dalla imperante visione giornalistica, fedele guardiana per antonomasia degli interessi dominanti.

Ma il tema che decisi di affrontare la sera del 7 dicembre 1989 era troppo anche per allora. Dar voce in uno spazio statale come quello della Rai, ai risultati eterodossi delle ricerche di due scienziati italiani circa la fondatezza della teoria einsteiniana della relatività, era qualcosa di sconvolgente per l'usuale prassi della comunicazione pubblica.

Allora la radiotelevisione italiana non si era ancora adeguata ufficialmente alla "par condicio" istituzionale, che imperò negli anni Novanta quando nelle redazioni si dovevano organizzare i programmi prevedendo sempre interventi di "esperti" contrapposti.

Doc Festival


Ci fu un anno, il 2006, in cui la redazione del programma Magazzini Einstein guidata da Maria Paola Orlandini, capoprogetto di RaiEducational, volle dedicarsi all'arte del documentario seguendo alcuni festival di documentari che si svolgevano in Italia durante l'estate.

Si scelsero quattro festival dislocati a nord al centro e al sud: Il "Brixen Art Film Festival" di Bressanone, il festival "Hai visto mai?" di Siena, che si inaugurava proprio in quell'anno, il festival di "Palazzo Venezia" di Roma e "Imaginaria06 International Film Festival" di Conversano, in provincia di Bari.

Visitai le quattro locations da regista scritturato, accompagnato dal solito modus operandi della produzione Rai, di cui ho già parlato in questo blog. Quindi in ogni posto veniva contattata una società locale per fornire la troupe. Per fortuna avevo una curatrice redazionale che mi seguiva ovunque, Valeria Muccifora, che mi aiutava ad omogeneizzare gli interventi.

Il risultato fu due puntate di mezz'ora dedicate al genere documentario: la prima, più generale, tentava di fare il punto sulla realtà di quest'arte oggi in Italia e ne veniva fuori un quadro piuttosto sconfortante. Si intitolava "La Terza Via", ne ho già parlato, e potetti seguire un montaggio abbastanza originale, cioè più personale.

La seconda era cronicistica ed entrava nei particolari dei quattro festival scelti. il titolo era "Doc-Festivals", un altro prodotto dignitoso dello standard Rai, che può lasciare soddisfatto l'utente medio ma non certo chi ricerca qualcosa di interessante o specifico. Al lettore lascio il giudizio.